Il restauro della Madonna del Cardellino di Raffaello

Raffaello, Madonna del cardellino Firenze, Galleria degli Uffizi.

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La Madonna del cardellino fu dipinta a Firenze dal giovane Raffaello per le nozze di Lorenzo Nasi intorno al 1506. Si tratta di uno straordinario capolavoro della storia dell’arte italiana particolarmente “sfortunato”, perché appena quarant’anni dopo la sua creazione venne coinvolto, come testimoniato dal racconto di Giorgio Vasari, nel crollo del palazzo in cui era conservato (1548). L’incidente portò l’opera a spaccarsi in più parti, che furono poi rimontate in un antico restauro, mentre due inserti nuovi vennero messi a colmare due mancanze. La sua storia conservativa da allora è stata caratterizzata costantemente da una sovrammissione di materiali, tesa per lo più a nascondere gli antichi guasti. Per accordare infatti alla pittura raffaellesca le integrazioni frutto dell’antico restauro (attribuite da Carlo Gamba a Ridolfo del Ghirlandaio), la tavola è stata via via patinata e verniciata, con l’aggiunta di materiali sempre nuovi, senza che mai fosse eseguita una pulitura.

Quando il dipinto giunse nel Laboratorio di restauro della Fortezza da Basso, in seguito alle prime indagini, si comprese che al di sotto dei materiali aggiunti nel tempo e che sono venuti via via conferendo al dipinto un colore ambrato, molto caldo (tanto da creare il mito del “Raffaello dorato”) erano completamente celati gli splendidi colori della tavolozza di Raffaello, che, al di là delle zone con le rotture, si mostravano sostanzialmente in discrete condizioni.

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Il restauro della Madonna del cardellino, è stato al centro di un progetto di studio e di ricerca che ha mirato alla conoscenza il più possibile approfondita della tecnica pittorica utilizzata da Raffaello e delle vicende che l’opera ha subito nel corso dei secoli. Secondo la fondamentale lezione di Cesare Brandi, sappiamo infatti che all’interno dell’opera d’arte si contempera una duplicità di valori: quelli materiali e quelli immateriali. I primi sono attinenti alle materie costitutive dell’opera d’arte stessa, i secondi includono invece tutti quei significati di cui l’opera è portatrice. Il restauro consiste così per prima cosa in un’attribuzione di valore che si realizza in un atto critico, all’interno di un momento di conoscenza di questa doppia serie di significati.

Per giungere a tale conoscenza sono indispensabili molte indagini diagnostiche di tipo fisico-ottico e chimico che vengono di routine condotte all’interno del Laboratorio dell’Opificio delle Pietre Dure, da parte del Laboratorio Scientifico interno o in collaborazione con altri Istituti Universitari e di ricerca. In questo caso, a titolo esemplificativo la Radiografia X ha rivelato chiaramente la tecnica originale di costruzione del supporto e soprattutto i danneggiamenti dovuti al crollo cinquecentesco del Palazzo dei Nasi, la maniera in cui i vari frammenti sono stati ricomposti e le parti aggiunte all’epoca per ricomporre l’unità perduta. La riflettografia IR (realizzata con scanner IR ad alta risoluzione dell’Istituto Nazionale di Ottica Applicata di Firenze) ha poi portato all’individuazione del disegno preparatorio e ha messo in evidenza l’uso dello spolvero come tecnica utilizzata per il trasferimento del disegno dal cartone alla tavola. A indicare chiaramente la presenza di una quantità elevata di vernici alterate al di sopra della superficie pittorica è stata infine la Fluorescenza UV.

Una volta appurato che la pellicola pittorica originale era in buona parte integra, si è dato il via al restauro. Il colore è coinvolto in due tematiche assai complesse: la pulitura (eseguita secondo il metodo che possiamo definire fiorentino) e l’integrazione delle lacune. La pulitura è stata condotta in maniera selettiva, setto il controllo costante del microscopio binoculare, per sorvegliare momento dopo momento le operazioni. I risultati conseguiti sono stati veramente sorprendenti: in alcuni punti la materia non originale, soprammessa e scurita dagli anni, aveva raggiunto anche diversi millimetri di spessore. Rimuovendo tali strati alterati, il colore rinvenuto ha davvero rappresentato una sorpresa: si è recuperata, oltre a una brillantezza stupefacente del lapislazzuli del manto della Madonna e oltre al rosso della veste, una finezza di particolari nel paesaggio del fondo, che per secoli erano stati nascosti (per esempio, alcuni dettagli del prato).

Per quanto invece riguarda l’integrazione pittorica, vista l’estensione delle lacune che per di più tagliavano verticalmente la figurazione, si è preferito un tipo di selezione cromatica a tratteggio molto sottile, per non interferire negativamente con la lettura estetica del dipinto. Bisognava infatti fare in modo che le integrazioni fossero comunque riconoscibili a una visione ravvicinata dell’opera, senza che da una normale distanza l’immagine venisse percepita come frammentaria.

Anche il supporto ligneo è stato rivisto, abbinando il miglioramento dell’andamento della superficie e della tenuta delle giunzioni con il massimo rispetto della materia originale.

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Fonte: http://www.opificiodellepietredure.it/index.php?it/102/raffaello-madonna-del-

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